Dalla silicon valley: cambiamenti.

 

è da un po’ che mi gira in testa questa riflessione. 

 

Come insegnare ai nostri figli ad affrontare i cambiamenti? Come aiutarli a gestire situazioni nuove con la giusta emotività e razionalità?

 

Settimana scorsa tutti e quattro siamo stati colpiti dall’influenza californiana: febbre alta, dolori, sinusite. Dovrei scrivere un post ad hoc su quando i genitori si ammalano insieme ai figli, per di più lontani dai parenti, comunque se per caso avete già fatto questa esperienza potrete capire quanto sia stata dura.

 

Per fortuna qui tra espatriati ci si sente presto come una famiglia e ci si aiuta a vicenda.

Ci ha anche salvato una dottoressa francese che, visitandoci a casa, ha scoperto un’otite a ciuffetto biondo non vista la mattina prima e a me una bronchite silente. Nonostante nella mia intervista su VoglioVivereCosì (tra l’altro non ve l’avevo ancora segnalata) abbia parlato bene dell’atteggiamento dei medici qui in America, devo ammettere che dopo qualche mese già ci si accorge che un po’ ti senti un numero anche qui.

 

Comunque, mentre eravamo malati, ho scoperto che il maestro di Apo aveva cambiato classe. Non avevo il coraggio di dirlo al mio bambino perchè per me era

una brutta notizia, un altro cambiamento grosso a pochi mesi dal nostro arrivo qui.

Ma poi è stato lui a sorprendermi. Tornando a scuola ha conosciuto la nuova insegnante e le prime impressioni sono state positive. Ora ogni tanto mi dice che gli manca il suo insegnante J., soprattutto perchè era un maschio (era bello avere una maestra femmina e uno maschio), ma tutto sommato ha reagito serenamente. Lui era il maestro che portava a scuola i serpenti vivi dall’università’ di San Josè (qui vicino) e che i primi tempi gli cercava sul computer le traduzioni in italiano delle frasi in inglese. 

 

In Italia siamo abituati ad avere la stessa insegnante e gli stessi bambini per 5 anni, qui cambia tutto ogni anno. Se un bambino ha problemi di integrazione in una classe viene spostato in un’altra. Prima di essere confermata una maestra rimane in prova due anni. E quando racconti le tue elementari a un americano, ti dice: “ma come è possibile? e se ti trovi un’insegnante che non va bene te la devi tenere per 5 anni?” – non fa una piega.

 

Forse sta qui il segreto della dinamicità degli americani, ma anche del loro individualismo e in un certo senso distacco emotivo?

 

Non so, le radici di una cultura sono complesse e non è facile trovare cause ed effetti chiari di certi comportamenti, ma di sicuro il cambiamento è profondamente intrinseco in questa gente. Come se nulla fosse cambiano paese, vendono e comprano casa, ricominciano da capo.

 

E ieri poi ho scoperto che ciuffetto biondo aveva iniziato l’inserimento nella nuova classe dei grandi avendo compiuto due anni e mezzo (qui la materna inizia a 2,5 anni puntuale) e di nuovo io mi dicevo ma perchè non aspettare settembre per cambiare di nuovo maestre e compagni? Per loro è più importante il suo sviluppo e gli

stimoli che può ricevere piuttosto che il trauma di lasciare l’ambiente che conosce così in mezzo all’anno.

 

In sè tutto fila è solo questione di vivere i passaggi con leggerezza e senza guardare indietro. E questo serve di lezione soprattutto a me, che alla soglia dei quarant’anni sto imparando a vincere tante resistenze di fronte a cambiamenti e novità pur continuando sempre a sentire dentro quel senso di qualcosa che si spezza senza potersi riaggiustare.  Le mutazioni, anche piccole, e anche quando sono semplici evoluzioni, mi lasciano sempre un senso di nostalgia. 

 

Credo che qui i miei figli possano imparare a vivere con meno malinconia il nuovo perchè gli americani,  una cosa è certa, guardano al futuro mai al passato.

 

E voi come vivete i cambiamenti? Come credete debbano imparare a viverli i vostri figli?