Di mamme, lavoro e veri desideri
Oggi piove. Momento riflessivo. Ieri mio figlio ha fatto la prima lezione di arti marziali e l’insegnante, in pieno stile americano, ha insistito molto sull’importanza dell’”eye contact”. Guardarsi negli occhi per capire, ascoltare, condividere. E così pensavo, quando ci guardiamo negli occhi abbiamo davvero voglia di andare oltre? Di vedere quello che non si vede, di scoprire quello che non appare? Pensavo soprattutto a quanto c’è dietro allo sguardo di una mamma. Una storia che andrebbe raccontata. E magari anche le nostre mamme avrebbero voglia di essere ascoltate di più, di non essere date per scontate. Mi capita spesso di chiacchierare con le nonne che passano di qui: con gli occhi luminosi mi raccontano di loro, del loro passato, delle loro imprese.
Perchè siamo diventate mamme? Come è cambiata la nostra vita? Siamo pienamente soddisfatte? L’altra sera ho visto il film “Bad Moms”, molto carino. A un certo punto sembrano tutte delle pazze scatenate ma secondo me rappresentano benissimo la realtà. Quante volte non abbiamo avuto il coraggio di dire che non laviamo i nostri bimbi da una settimana perchè non avevamo la forza di farlo? Quante volte ci siamo nascoste in bagno per piangere o per lanciare un urlo di sollievo? Quante volte abbiamo pensato di non farcela a tenere insieme tutto? Quante volte abbiamo fatto scelte sbagliate di cui ancora ci pentiamo? Quante volte vediamo intorno a noi donne/mamme che si propongono perfette e con tutte le risposte? A me succede spesso.
Non ho mai pensato molto ai bambini, ho trascorso tutta la mia adolescenza a fantasticare sulla mia carriera, il mio lavoro, i miei amori, i miei viaggi. Poi è arrivata quella vocina, quel richiamo. Appena sposata ho subito cercato un figlio, ed è arrivato in fretta. Ma tutti gli altri pensieri ed ambizioni continuavano ad esserci e così con lui in pancia ho iniziato un MBA, un master di due anni, impegnativo con un neonato. E poi è ricominciato anche il lavoro. Ma non ero una mamma libera, non ero la mamma che volevo essere. Il corpo mi ha dato il segnale che non poteva essere fatto tutto alla perfezione. Il desiderio di mio figlio era superiore ad ogni promozione, viaggio, velleità di carriera. Volevo stare con lui andare a prenderlo a scuola, vederlo crescere. Non ero io a non funzionare, era quel lavoro, quell’idea di carriera che culturalmente era appiccicata dentro di me che non mi appartenevano più,
La mamma che fa progetti o cambia vita non ha meno valore di quella che resiste, tiene duro e magari muore dentro. Non sono i successi o i ruoli che ci fanno vivere sereni, è solo la capacità di ascoltarsi ed essere autentici. Fidarsi della parte nascosta di noi che ci dà segnali che spesso trascuriamo: questa è la chiave, non quello che pensano gli altri o la società. Noi donne siamo spesso intrappolate, cerchiamo di emanciparci rendendo la nostra vita simile a quella degli uomini, non cercando di cambiare e migliorare quella di entrambi. Quando mi hanno trasferito di sede (molto lontana da casa) con un bimbo piccolo avrei potuto oppormi e farmi cambiare di ruolo. Quel coraggio, che alcune donne hanno, avrebbe pian piano cambiato la cultura aziendale. Ma io non l’ho fatto. E ancora spesso mi devo ripetere che quella non era la mia strada, che è inutile considerarla una sconfitta., perchè il germe dell’insicurezza e del confronto, ahimè, è sempre lì a stuzzicarci.
La felicità è quella che conta, l’autostima vera è quella che non ha bisogno di dimostrazioni e riscontri e l’entusiasmo è quello che ci fa andare avanti nonostante le difficoltà della vita da genitore. Non facciamoci mettere al muro da rigide etichette. Non ci sono vincitori e perdenti. E’ più felice un monaco tibetano o un grande manager d’azienda? Forse entrambi o forse no, ma di sicuro non è il successo o il denaro a definirlo.
Mamme, chi eravate prima? Chi siete diventate? Siete pienamente felici? Avete rimpianti? ascoltatevi dentro e se vi sentite perse parlatene, scrivetelo (anche qui se vorrete), ma non sentitevi sole perchè capita a molte anche se non ve lo diranno. Sta solo a noi trovare la chiave per voltare pagina col sorriso anche se questo vuol dire scardinare l’immagine che ci eravamo fatte di noi da piccole. I nostri studi, i nostri lavori non sono dimenticati, fanno parte della nostra ricchezza, quella che anche trasmettiamo ai nostri figli. C’è sempre quindi un motivo, un fine in tutte le scelte. Ma facciamo quelle che fanno stare bene noi. E l’America mi ha insegnato che non è mai troppo tardi per trovare la propria vera strada.