Notizie: è mancato (e ci mancherà..) giovanni bollea.
Un saluto affettuoso a Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile in Italia, mancato a Roma 2 giorni fa e che per una vita è stato dalla parte dei bambini: bambini Down, bambini con lesioni cerebrali, bambini e adolescenti senza malanni fisici ma traumatizzati nell’anima da famiglie divise, abbandoni, violenze.
«La decisione di dedicare tutta la mia esistenza ai bambini malati – racconta lui stesso – ha radici talmente inconsce che me ne resi conto solo a 68 anni, mentre visitavo un centro di cura per piccoli disabili. All’improvviso, l’inconfondibile odore di quei luoghi, misto di sudore, medicinali ed urina, mi colpì come un fulmine, riportandomi alla mente un episodio vissuto all’età di otto anni. A quell’epoca la nostra scuola organizzò una discutibilissima gita al Cottolengo e, quando ci trovammo di fronte ai letti dei bambini più gravi, la suora che ci accompagnava disse: “questi bambini saranno i primi ad entrare in Paradiso”. Allora io mi voltai e con molta fermezza replicai: “perché invece di dire queste cose non v’impegnate per guarirli?”. La suora e la maestra rimasero ammutolite, ma dentro di me nacque il desiderio incrollabile di combattere contro ogni rassegnazione e passività per aiutare quei piccoli sofferenti.
Sapeva di avere una missione da compiere: mettere al sicuro la disciplina scientifica che aveva fondato e portato a dignità accademica nel nostro paese. Perché oggi la neuropsichiatria infantile rischia di scomparire dal panorama medico italiano, travolta nell’alluvione di tagli più o meno indiscriminati all’Università. Sotto il governo Berlusconi, e con il cambio di colore politico alla Regione Lazio, si è fatto strada il progetto di riassorbirla nella pediatria. Mentre Giovanni Bollea ha dedicato la sua esistenza proprio a staccarla dalla medicina pediatrica, convinto com’era che la sofferenza psichica non sempre, e mai del tutto, è riconducibile a una base organica. Se la pediatria si occupa dell’organismo del bambino, pensava, altrettanto necessaria è una scienza che si occupi della sua mente e dei suoi malfunzionamenti. Perché sono malfunzionamenti che in alcuni casi hanno origini fisiologiche, genetiche, traumatiche, ma in altri casi affondano invece le radici in problemi di relazioni umane, e le relazioni umane non sono materia per il medico e per i suoi farmaci, ma, appunto, per un neuropsichiatra che, come Bollea, abbia sviluppato una sensibilità diversa verso la mente dei bambini, conosca la psicoanalisi infantile, e quindi Anna Freud, che ne fu pioniera. Ma neppure questo è sufficiente: intorno al bambino con disagio psichico Bollea voleva tessere una rete che oltre ai medici specializzati includesse genitori, familiari, insegnanti, pedagogisti, psicologi, assistenti sociali.
Negli ultimi tempi la sua attenzione aveva colto fenomeni nuovi: l’esposizione dei ragazzi alla violenza sugli schermi televisivi, l’onnipresenza alienante dei videogiochi, l’oscillare dei genitori tra lassismo e costrizione. Scuola, famiglia e società in crisi, mentre per Bollea solo la cooperazione tra esse può darci un mondo migliore.
Lo penso profondamente anch’io.
Oltre a consigliarvi alcuni suoi libri (Le madri non sbagliano mai; Genitori grandi maestri di felicità) vi propongo la lettura di un suo piccolo testo, scritto un anno fa, e che esprime tutta la dolcezza di questo grande vecchietto innamorato dei bambini..
Vi racconto come nasce il sorriso GIOVANNI BOLLEA
“È vero che il sorriso è una capacità innata dei bambini? Sì, dopo il primo pianto, appena uscito dall´utero, vediamo il sorriso del bambino legato a quello della madre che lo guarda a sua volta negli occhi. E, subito dopo, il piccolo afferra teneramente la mammella della madre, seguito dal sorriso felice di quando lei la lascia. Il sorriso che nasce non dalla vista del volto della madre, ma dal suo profumo, rimarrà nella sua memoria per sempre. E così al primo dentino, al primo passo, all´entrata della Scuola Materna. In questo modo il sorriso dei primi anni si prolunga anche durante le esperienze iniziali all´interno delle difficoltà scolastiche, che si manifestano già nell´asilo nido, dove i primi collegamenti con l´altro da sé sono ritmati dagli episodi di pianto, che è il loro modo di colloquiare. Ma il dramma nasce quando il bambino non è ascoltato né seguito, o quando la madre ritarda nel riprendere il bambino alla Scuola materna. Al loro incontro, perciò, ci sarà di nuovo “quel” sorriso d´intesa. Quel famoso sorriso del dopo scuola che non sarà mai più lo stesso durante tutto il suo cammino di adulto. Ricordiamoci che anche nella gioia di aiutare la mamma nei piccoli lavori di casa il bambino manifesterà la preferenza della madre nei suoi confronti, che così lo fa sentire sempre più importante. Il sorriso è lo stare con la madre, il ridere è la manifestazione dell´orgoglio e della soddisfazione di eseguire e conquistare qualcosa insegnatogli da lei, dalla quale gli giunge un segno di allegra approvazione. Il sorriso è quindi amore, il ridere è. .. “obbedire”. Nelle persone adulte c´è sempre un ricordo perenne della prima infanzia fino ai 10 anni per le tante cose fatte insieme: regali dei genitori, gioco e bicicletta col padre. Se poi c´è l´amore della madre con i nonni anche la loro gentilezza ha una sua funzione rassicurante. Coinvolgerli in modo positivo nelle realtà quotidiane: ecco che l´elemento formativo darà felicità al bambino, se non lo avrete mai fatto sentire come un ordine. Il significato di comando non deve mai essere trasmesso infatti come un invito obbligatorio prima dei 4-5 anni. Sembrerà semplicistico e forse ovvio ma pochissimi invece capiscono l´importanza di farsi accompagnare e far partecipare il bambino alle commissioni, commentando a voce alta le cose che vedono. Questo sia con i genitori che con i nonni. L´infanzia sorridente in questo periodo storico non è purtroppo la normalità ma l´amore, lo slancio impegnato e caricato di generosa attenzione quotidiana formerà un adulto più o meno maturo.”