Intervista: sport agonistico fin dalla tenera eta’, pro e contro

Ho pensato di proporvi questa intervista perchè avendo un bimbo primogenito di 7 anni e vivendo in un paese estremamente competitivo riguardo sia alle attività scolastiche che extra-scolastiche stavo riflettendo ultimamente su quale sia l’atteggiamento giusto da tenere come genitore. Alle volte mi viene da difendere i miei figli e proteggerli dalla competizione ma poi penso che una “sana” competizione e una “sana” ambizione siano utili nella vita e vadano coltivate fin da piccoli. Ma come?

Io da piccola ero molto competitiva, mi piaceva fare sport in modo agonistico ma mi veniva anche voglia di cambiare spesso, forse un po’ troppo. Mi sono dedicata molto anche alla musica ma un po’ non volevo rinunciare troppo al tempo libero, un po’ consideravo la scuola comunque il mio impegno principale. I miei genitori erano abbastanza neutrali sulle mie passioni, comunque per loro la scuola era la cosa più’ importante. E così’ nessun “talento” è sfociato in qualcosa di più’ serio.

Da chi dipende? Dal bambino o dalla spinta/appoggio dei genitori? Come cercare i talenti dei nostri figli e come appoggiarli tenendo comunque presente che stanno costruendo il loro futuro e la loro indipendenza da noi? Come insegnare loro che una volta scoperto un proprio talento, questo va coltivato a volte anche con tanti sacrifici?

Questa prima intervista è sullo sport.

Per esplorare meglio quale deve essere l’atteggiamento da genitore nei confronti di un bambino/a che dimostra un reale interesse per uno sport, ho pensato di intervistare una mamma, Elena Petrucciano, che è stata una tennista di serie A e ha anche finito l’università in modo brillante. Certo è un esempio speciale, ma può essere utile per capire come è la stata la sua giovinezza e quanto i suoi genitori abbiano influito sui suoi successi.

Ciao Elena, ti presenti brevemente ai lettori di WhyMum?

 

Sono una napoletana di nascita, vissuta sempre a Roma. Fino a diciotto anni sono stata una sportiva a tempo pieno. Prima pattinatrice di buon livello, poi tennista. Ero tra le prime d’Italia e d’Europa del mio anno, convocata dalla nazionale juniores, ho giocato dai 14 anni nel circuito pro WTA, vinto la serie A a squadre e vari titoli nazionali e internazionali. Poi finito il liceo ho deciso di lasciare la carriera da professionista e di iscrivermi ad Economia. Mi sono laureata con lode e in tempi brevi e ho iniziato a lavorare nel marketing in una multinazionale ma non ho mai lasciato il tennis. Ho continuato a giocare la serie A e ho iniziato ad insegnare. Nel 2011 mi sono trasferita a San Francisco con mio marito e l’anno scorso ho avuto il mio primo figlio, un bellissimo maschietto di nome Nicolas.

Raccontaci come è iniziato il tuo percorso sportivo. A che età hai iniziato a giocare a tennis?

 

Il mio percorso sportivo è iniziato molto presto, prima del tennis. Avevo tre anni quando ho cominciato a pattinare e a sei già facevo delle gare in giro per l’Italia. Il pattinaggio è uno sport molto precoce e già così piccola facevo l’agonistica. Il tennis l’ho iniziato piuttosto tardi paragonandomi ad altre tenniste, avevo 8 anni. Nel frattempo ho fatto altri sport come ginnastica artistica, nuoto e cavallo, ma non ad alto livello.

Hanno subito individuato che avevi un vero talento per il tennis? Come l’hanno presa i tuoi?

 

Quando ho iniziato a giocare a tennis il fatto che fossi già un’atleta, con il fisico e la mentalità da agonista, non è sfuggito ai miei primi maestri di tennis. Hanno visto in me delle buone potenzialità e hanno chiesto ai miei genitori se volessi passare subito ad un livello più avanzato ed allenarmi meglio. Il fatto che fosse una scuola tennis tra le migliori di Roma in quegli anni ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nella mia crescita tennistica. I miei genitori erano contenti di questa mia dote sportiva e si sono dati da fare per coltivarla. Mi hanno accompagnato e “scarrozzato” in giro per anni.

Come è stata la tua infanzia/adolescenza? A cosa hai dovuto rinunciare? Hai sofferto o è andato tutto liscio?

 

Pensandoci ora, vedendo le cose in modo obiettivo e paragonando la mia adolescenza a quella dei miei amici, penso di essere stata molto fortunata e di aver avuto una bellissima adolescenza. Sempre all’aria aperta, in giro per l’Italia e l’Europa, in circoli e posti belli, ottenendo spesso soddisfazioni, premi etc. In quegli anni invece pensavo di essere l’unica tra i miei compagni a non uscire la sera, credevo che loro facessero chissà cosa e quindi, anche se mi divertivo molto in giro per tornei, pensavo di rinunciare e perdermi qualcosa. Certo, non è andato tutto liscio sempre. Mi sono spesso allenata da sola, ho viaggiato da sola tante volte e la comitiva o le uscite pomeridiane non sapevo cosa fossero.

Per te il tennis era proprio una passione per cui avresti lottato anche da piccola o ti ci sei semplicemente trovata in mezzo?

 

Mi ci sono trovata. Mia mamma mi ha iscritto perché un suo collega portava la figlia in quel circolo e dicevano che era una buona scuola tennis. Le sembrava un’ambiente migliore del pattinaggio e così mi ha fatto provare. Il fatto che poi i maestri mi abbiano subito spronato e incoraggiato molto mi ha esaltato e da buona competitiva quale ero ho cominciato ad appassionarmi a questo sport.

Come hai vissuto il rapporto con la scuola? Sono stati i tuoi a trasmetterti l’importanza di continuare? 

 

L’ho vissuto sempre molto serenamente, e secondo me è stato merito sia del mio carattere diligente che dei miei genitori che non mi hanno mai imposto nulla. I compiti e la scuola erano una mia responsabilità e sapevo che non avrei potuto mai essere bocciata, ma per il resto me la potevo gestire io come volevo. I compiti li facevo nei ritagli di tempo e non mi piaceva fare brutte figure né a scuola, né a casa, quindi studiavo e andavo bene. La scelta dell’Università al posto della carriera da professionista poi è stata assolutamente una mia scelta. I miei hanno pianto per questo!

Cosa ne pensi di in tutti quei numerosi sportivi che cercano di fare dello sport un lavoro ma magari non riescono ad arrivare a livelli top?

 

Penso che se un ragazzo ha talento, ha dei buoni risultati e una forte passione è giusto che ci provi. Il fatto che io fino a diciotto anni abbia “lavorato”, allenandomi quasi sette ore al giorno tutti i giorni, andando a scuola fino alle 11 di sera e non abbia fatto vacanze anziché essere andata in giro nel pomeriggio e in Sardegna d’estate, mi ha solo agevolato poi nella vita. Per me tutto è diventato meno faticoso negli anni successivi. Mi sono accorta che l’università, il lavoro e la vita in generale per me sono vissuti in modo più semplice di come la vivono mediamente gli altri, perché per anni io ho messo a dura prova il mio fisico e la mia mente e mi sono allenata a ritmi duri.

Come ti comporterai con tuo figlio nell’età dei primi approcci sportivi: sperimentazione o focalizzazione? Mio figlio per esempio a 7 anni è ancora nella fase in cui vuole fare 3 sport diversi senza scegliere.

 

Quasi tutti i bambini, giustamente, tendono solo a divertirsi quando fanno gli sport. Vogliono sperimentare, stare con gli amichetti e scherzare. Ed è giusto che sia così. Sono pochissimi i bambini che da soli decidono di ammazzarsi di fatica per raggiungere un obiettivo o un traguardo. Quello della focalizzazione è un concetto che va insegnato e secondo me è molto importante perché aiuta nella vita. Mio padre lo ha trasmesso a me e io farò altrettanto con i miei figli. è giusto provare diversi sport quando si è molto piccoli ma poi, se si vuole ottenre qualche soddisfazione e risultato, bisogna impegnarsi e concentrarsi su una sola cosa. Essere bravi in qualcosa e non dei medi in tutto, accresce molto l’autostima di un ragazzo.

Cosa ti ha insegnato lo sport vissuto così intensamente fin da piccola? Come, secondo te, ha influenzato lo sviluppo del tuo carattere?

 

Lo sport mi ha reso molto disciplinata e responsabile. Mi ha insegnato a non montarmi la testa quando le cose vanno bene e a saper perdere quando vanno male. Mi ha insegnato che non sempre si vince anche se si da il massimo, bisogna rispettare se stessi e i propri limiti. Mi ha insegnato a rimanere concetrata e lucida per ore e a superare i momenti di stanchezza e fatica. Infine, lo sport mi ha aiutato nella gestione e organizzazione del tempo. Quando il tempo è poco per far tutto non si può sprecare un minuto!

Quanti talenti “sprecati” ci sono in giro, secondo te, e quanto dipende dalla famiglia il loro emergere o meno?

 

Molti. La famiglia è sicuramente fondamentale per far emergere uno sportivo, però ci vuole anche molta fortuna nel trovare lo sport e la struttura giusta. Un ragazzo con un grande talento per il tennis ad esempio, con un maestro non bravo non potrà mai diventare forte. E se un ragazzo avesse un talento per uno sport che non ha mai provato sarebbe un peccato, ma d’altronde è un po’ come i fidanzati..non si possono provare tutti per sapere quale sia il migliore!

Ti auguri un figlio sportivo agonista o uno che ha voglia semplicemente di divertirsi e tenersi in forma? 

 

Io mi auguro di riuscire a trasmettere a mio figlio la passione per lo sport, per la vita sana e all’aria aperta. Avere serietà nelle cose che si fanno è molto importante secondo me, ma non per forza deve essere uno sport. Anche la musica, l’arte o lo studio se fatti seriamente possono dare gli stessi benefici e insegnamenti dello sport. Quindi spero di essere in grado di identificare il talento di mio figlio e far sì che lo coltivi e impari che se vuole diventare bravo e ottenere qualche risultato il talento non basta. Le soddisfazioni non arrivano solo con il divertimento e dote naturale, ma anche con qualche sacrificio e forza di volontà.

Ha senso dedicarsi solo allo sport trascurando completamente l’educazione accademica?

 

Dipende da che età si parla secondo me. è chiaro che fino a diciotto anni la scuola è obbligatoria. è un diritto e un dovere di ognuno per poter vivere nella società. Per quanto riguarda l’università invece è tutto un altro discorso. Non tutti sono portati per lo studio e non vedo perché si debbano perdere anni di vita preziosa per fare esami di cui non si è interessati quando si potrebbe utilizzare quel tempo per imparare un mestiere e fare qualcosa di più adatto alle proprie potenzialità. A diciotto anni secondo me si è grandi e bisogna prendersi le proprie responsabilità. Se uno ragazzo è veramente intenzionato a fare il cantante, lo sportivo, il musicista, l’artista, lasciando completamente gli studi, si spera che sappia che la strada verso il successo è molto difficile e tortuosa e se nonostante ciò ci vuole provare bisogna appoggiarlo, ma mettendo in chiaro che si assume la responsabilità delle sue azioni e se la dovrà cavare da solo se dovesse andar male poi. Continuare a studiare invece dà sempre una chance in più secondo me. Una sorta di piano B che è bene avere. Ma ognuno fa le sue scelte!

Per finire, com’è l’ambiente sportivo? Credi che il tennis abbia delle caratteristiche diverse o si vive un po’ in tutti la stessa atmosfera?

 

Direi che ormai sono più o meno tutti simili gli ambienti. Prima alcuni sport erano solo per ricchi e altri per poveri. Adesso anche il golf, sport per ricchi per eccellenza, è diventato accessibile quasi a tutti. E così il tennis. è sempre uno sport caro ma non più di altri. In generale direi che si trovano ovunque i genitori fanatici e maleducati e quelli pacati e tranquilli. Anche tra i maestri c’è un po’ di tutto! Quello che è importante è scegliere il posto giusto dove fare sport. Una buona struttura e un maestro serio e competente possono veramente fare del bene ai bambini, qualsiasi livello essi raggiungano, perché lo sport insegna.