Conclusioni sommarie di un’espatriata in America

Dopo quasi 7 anni in America mi sono fatta ovviamente alcune idee su vari aspetti di questo Paese e della vita qui. Sono opinioni personali e sommarie, ovviamente, mi sono resa conto che per capire bene una cultura e una lingua ci vogliono tanti anni e in più gli americani non sono così accessibili, ne abbiamo conosciuti in questi anni ma abbiamo legato con davvero pochi. È un popolo che si sposta spesso, percorre distanze enormi in macchina, compra e vende casa con una scioltezza che a noi Italiani può sembrare follia. I miei figli vanno in una scuola Montessori anche qui a San Diego e io ho cercato di scergliela  non tanto lontana da casa e sono comunque 15 minuti di macchina compreso un pezzo di autostrada. La scuola pubblica di quartiere sarebbe più o meno alla stessa distanza ma almeno con i bambini nel raggio di 15 minuti di macchina. Invece nella scuola attuale i bambini vivono a distanze anche piuttosto grandi. Una compagna di Apo addirittura viene dal Messico, tutti i giorni avanti e indietro. Quando organizzano dei “playdate” per noi con tre figli è un disastro. Un esempio: playdate di sabato dall’1 alle 4 del pomeriggio (sì qui usa dare l’orario di inizio e di fine) a 50 minuti di macchina (!), e poi due partite di basket a 30 minuti di macchina alle 8 di sera. O non si fa fare nulla ai propri figli o questa è la vita finchè vanno al college. Ah dimenticavo, la domenica ci sono gli allenamenti, perchè ovviamente lasciare un giorno del weekend libero alle famiglie non è possibile. Ecco perchè abbiamo deciso con tristezza di abbandonare il metodo Montessori e la scuola privata e vertere sulla scuola di quartiere da questo settembre.

Essere impegnati, sempre e comunque, essere attivi, positivi, indaffarati. Questo è quello che accompagna anche i pomeriggi o le serate insieme agli amici qui in America. Ci deve essere un BBQ, una passeggiata, un gioco da tavolo, qualcosa, altrimenti cosa si fa, si chiacchiera e basta? Loro poi sembrano essere sempre calmi, serafici, felici e col sorriso. Se si accenna a un problema ti viene detto tutto andrà bene e si cambia discorso. Non si entra nel profondo, non si apre la porta dietro a quel sorriso a quel “great”, “fantastic” che ti viene presentato. È bello per certi versi per noi Italiani lamentoni e tendenzialmente negativi, che vediamo sempre l’errore e non le cose fatte bene, che critichiamo pur pensando sia costruttivo ma spesso tendiamo ad umiliare e scoraggiare. Ma per altri versi non è un atteggiamento realistico e lascia le relazioni in quella superficie indefinita in cui gli scambi emotivi sono confinati a serate un po’ alcoliche. Altrimenti meglio scappare dal confronto profondo facendo hiking o cucinando una bistecca. Insomma o l'”alcol” o il “fare”. Ora capiamo perchè nei telefilm americani gira sempre il wisky all 10 di mattina 🙂 o perchè nel passato di anche tanti politici famosi c’è una storia di alcol (se guardate Vice capirete che gli americani grazie anche al proibizionismo e all’età minima per bere di 21 anni, hanno un serio problema con l’alcol. Appena arrivano al college si sfondano e generalmente non smettono più).

C’è tanta solitudine in questa America sconfinata, con la sua natura selvaggia e meravigliosa, le dritte autostrade a 6 corsie in cui gli uomini e le donne di tutte le razze e la stazze macinano chilometri da soli bevendo il caffé di Starbucks o ascoltando musica country (che a me comunque piace molto). Ogni tanto si incontrano a fanno attività insieme, il book club, le passeggiate, i corsi di arte, i gruppi di cucina, i gruppi di bicicletta o di crossfit, i gruppi delle mamme (differenziati a seconda dell’età del bambino ovviamente).

Le strade, bellissime e luminose sono per lo più deserte. Gli esseri umani sono o dentro alle loro case singole o nei loro giardini interni che più sono “privati”, cioè isolati, più hanno valore. Gli incontri hanno degli orari di inizio e di fine, non sia mai che il piacere di stare insieme sia troppo e si tolga tempo ad altre cose.

Non ci si avvicina mai più di tanto gli uni agli altri, il proprio “personal space” è troppo importante da difendere, non ci si accarezza e non ci si sfiora nemmeno se si è amici, sono gesti troppo intimi, materni, anche i bambini piccoli non li accettano qui, bisogna prima chiedere se si può abbracciarli.

Si impara però anche a cavarsela da soli, ad essere elastici e flessibili nei cambiamenti, ad accettare che tutto fluisce, nulla è per sempre. Non ci sono gli amici di 30 anni prima, il quartiere in cui si è nati, cresciuti e in cui si vive ora con la propria famiglia, il farmacista e il macellaio che ti conoscono da sempre. Il lavoro non è il luogo in cui invecchiare e se hai un amico a trenta minuti di macchina non ti sembra un’impresa (come per molti milanesi, me compresa, infatti questo è ancora un punto dolente 😉 ). Si impara ad essere aperti verso il nuovo, ad accogliere gli stranieri (beh dipende dal luogo, l’America e’ famosa per i suoi ghetti) e chi è appena arrivato, ad essere gentili nonostante tutto (perchè ti hanno insegnato che è giusto così), a credere in pochi amici ma buoni e nella famiglia.

Io mi sento spesso sola in questo grande paese così diverso dal mio, in questo continuo ricostruire e cercare, ma ho anche trovato in me un sacco di risorse nuove, anche se forse americana non sarò mai perchè faticherò sempre a voltare pagina facilmente iniziando una nuova vita dal nulla e non riuscirò mai a non entrare in contatto profondo con le persone anche se è sicuramente più faticoso e rischioso. Non chiedetemi però perchè non torno ancora in Italia. La risposta è che ancora non lo so nemmeno io, non mi sento del tutto pronta, perchè alla fine amo gli americani e questa terra meravigliosa e in questi 7 anni sono effettivamente cambiata facendo mie molte delle loro abitudini.