Una domenica non normale

Ieri sera io, mio marito e i nostri tre figli abbiamo deciso di perlustrare un po’ i dintorni di San Diego e i paesi di mare vicini. I miei figli starebbero sempre in casa ma io scalpito per uscire (anche perché in casa qui si muore di caldo). Siamo arrivati a Del Mar, cittadina che tutti mi avevano consigliato come luogo in cui vivere prima di venire a san diego, Cardiff by the sea, Solana Beach e Encinitas. Sono proprio villaggi di mari a tratti con sfumature liguri a tratti della riviera toscana (o almeno a me piace pensare così). Le spiagge sono molto carine e piene di surfisti, la gente cammina sull’asfalto a pieni nudi, tutto ruota intorno al mare. Una piena esperienza californiana.

Parcheggiamo a Solana Beach per vedere la spiaggia da vicino. Lungo la strada un community center e persone in attesa di un matrimonio. Tornando verso la macchina baby luca decide di arrabbiarsi perché non aveva fatto il bagno nell’oceano. Scatta il capriccio, gli sposi sono uno di fronte all’altro e stanno per essere conclamati marito e moglie, decidiamo che è meglio dare il telefono a baby luca piuttosto che rovinare un matrimonio. Baby luca da poco spannolinato si fa anche la pipì addosso, è il momento giusto per terminare la gita. Nel mezzo del nostro giretto pomeridiano avevamo deciso di mangiare al nostro nuovo giapponese preferito, un posto in realtà decisamente brutto e anche presente in altre città americane (ovviamente la mania delle catene) ma buono. Questo posto ha una media di attesa di due ore, quindi di solito ci prepariamo per tempo a metterci in fila con la app. Ci mettiamo in autostrada In direzione cena e sulla strada io e ciuffetto biondo ci facciamo un giretto da Target (lo adoriamo io e lui) mentre gli altri comprano vasi da Home Depot. Arriviamo al giapponese e abbiamo ancora una ventina di persone davanti a noi e intanto osservo. È affollato questo posto, ricorda di più una città nonostante i quartieri residenziali. Ci sono tantissimi messicani, Tijuana e il famoso confine con il Messico sono davvero vicini, a mezz’ora di macchina. Vivere di la’ non è facile, le città sono pericolosissime, me lo raccontava una ragazza che per anni da la’ veniva a lavorare di qua e poi finalmente si è trasferita in America ricongiungendosi con sua nonna. Ad attendere al giapponese c’era una giovanissima coppia un po’ alternativa con una bimba piccola di circa 7 mesi. Giocava per terra sull’asfalto a piedi nudi. Si vede proprio che non ha una mamma italiana pensavo io, sorridendo. Il ristorante è concepito bene (o male dipende dai punti di vista) il tavolo confina con un nastro in cui le pietanze scorrono e si può ordinare da un monitor. Finito il piatto lo si butta in un buco e si guadagnano punti per ottenere un regalino, ecco perché i miei figli non vedono l’ora di andarci. Finita la cena appesantiti da udon, nigiri e rolls ci rimettiamo in macchina nel nostro caro e vecchio minivan blu diretti verso casa. È buio e siamo sulla corsia di destra, tutto succede veloce ma quello che vedo io è una macchina che ci taglia la strada e io penso ora ci sbalza chissà dove. Mio marito frena e sterza, l’impatto è forte, sembra un sogno, io stranamente ero nella seconda fila e istintivamente metto le mani sulla pancia di baby luca che era nel suo seggiolino e intanto penso ad Apo davanti e ciuffetto biondo dietro, in terza fila, che non vedo e che inizia a piangere. Siamo salvi e grati di esserlo. Non lucidissima chiamo il 911 e inizio un lungo discorso con l’operatore che proprio non voleva capire dove eravamo. Chiediamo l’ambulanza per una signora nell’altra macchina. Ma stanno bene anche loro. Metto giù il telefono e cade l’adrenalina, l’ansia sale, il piccolo non batte ciglio, i grandi vedono me in difficoltà e mi stanno vicini cercando di calmarmi. Mi viene addosso tutto, la decisione di trasferirmi, l’operazione di mia mamma, il trasloco, la brutta esperienza con la ragazza alla pari, la stranezza di questo mese in una nuova vita. I poliziotti sono gentili, io faccio partire Headspace, e io e miei figli meditiamo e ci calmiamo. La mia famiglia è la cosa più bella e importante. La macchina non è molto agibile ma andiamo lo stesso a casa. Due macchine rotte su due è un po’ troppo (la ragazza alla pari aveva distrutto l’altra) e così oggi ci decidiamo a comprarne una, era da un po’ che dovevamo farlo. Bisogna prenderne una solida visto come guidano qui e così decidiamo per un fuoristrada alto e imponente. I venditori in America sono sempre dei personaggi. Il nostro oggi è un ragazzo molto gentile e tenero, ci racconta che ha giocato come professionista di basket al college e poi dopo un’esperienza in messico e una figlia ha lasciato. Gli diciamo che abbiamo un figlio da poco maniaco di basket e lui si offre di farlo giocare ogni tanto, ci lascia il numero. Adoro questi incontri casuali. Con i minuti contati (apo finiva dopo poco appunto un summer camp di basket) andiamo nell’ufficio del contabile, un ragazzo molto energico che subito ci racconta di un suo incidente in macchina terribile (senza che noi gli raccontassimo del nostro), della sua moglie russa (bellissima) che si era rotta i denti e della loro passione per le gare in bikini. A suon di Bro e Sister (a me e a lele) ci mostra il suo pranzo derivato dai suoi studi approfonditi di nutrizione e perfetto bilanciamento tra proteine, carboidrati etc. Ne va molto orgoglioso. È ormai il dietologo dell’ufficio. Se stavo lì ancora un po’ uscivo pure io con una sua dieta vista l’invidiabile energia. Invece no siamo usciti solo con un bellissimo 4Runners bianco e un potenziale coach di basket autoctono. C’è sempre del positivo anche nelle esperienze peggiori. Alle volte la paura fa semplicemente riapprezzare quello che si ha.