Una vita diversa in casa

Questa è l’ultima foto che ho fatto quando dalla macchina sono andata a vedere l’oceano qui a dieci minuti da casa. Erano dieci giorni fa ed era ancora pieno di gente in giro. Io ero gia’ in semi clausura vivendo intensamente quello che stava succedendo nella mia città natale, Milano. Da ieri tutti i parchi e le spiagge in California sono chiuse non si può nemmeno camminare lungo la spiaggia. Che momento strano che stiamo vivendo, non posso non registrarlo in questo che è un po’ come il mio vecchio diario che ogni tanto rispolvero. Sarà curioso rileggersi quando tutto sarà finito. Sono emozioni e racconti da scrivere per ricordarsi come ci siamo sentiti, cosa abbiamo imparato, come abbiamo affrontato questa nuova difficoltà. Siamo una generazione tutto sommato fortunata, non abbiamo vissuto grandi traumi, o meglio ci sono stati ma non a casa nostra, per esempio Chernobyl, la guerra nel Golfo, le Torri Gemelle. Abbiamo manifestato da giovani per le ingiustize nel Medio Oriente, per altri grandi temi che scuotevano i nostri animi ma di fatto non cambiavano la nostra vita. Non abbiamo vissuto la guerra come i nostri genitori o meglio ancora i nostri nonni, e sulla guerra si continuano a scrivere libri ma i nostri cari non ne parlano mai quasi a voler dimenticare per sempre la paura e l’angoscia di quel periodo storico. Per noi ora la minaccia è un piccolo organismo, un virus. C’è stata la Sars, la Mers, abbiamo letto attraverso i libri di altre pandemie storiche ma non abbiamo mai vissuto questi eventi in prima persona noi Italiani. Questo virus a bassa mortalità ma altissima contagiosità ci costringe a stare in casa, non ci costringe a sentire bombardamenti o a seguire gli ordini di uno squilibrato tedesco ma noi, abituati alla nostra libertà, ci sentiamo in gabbia comunque anche se siamo nella nostra casa. Non tutti tra l’altro hanno la casa dei loro sogni, molti sono in condizioni precarie o disagiate. Ma è qui che dobbiamo stare chissà ancora per quanto. Da un giorno all’altro le priorità cambiano, la salute prende il primo posto. E questo porta a un acuirsi dell’egoismo o a un accentuarsi dell’altruismo. Vedo entrambi questi atteggiamenti ora. L’uomo spaventato cerca rifugio, pensa a provvedere prima alla sua famiglia e poi agli altri. Fa incetta di beni che considera primari (tipo la carta igienica in America), fa la coda per il cibo o per le armi (ovviamente solo in America), cerca sicurezze in un momento di incertezza sul futuro. Ogni tanto penso a chi è isolato in solitudine, deve essere veramente dura, alla fine i bambini fanno scorrere la giornata veloce. La famiglia numerosa aiuta tanto, i fratelli si intrattengono molto da soli, come succede a noi. Ci si ritrova a fare i conti con le nostre scelte anche sentimentali, con le abitudini che avevamo, con gli amici o conoscenti di cui ci eravamo circondati. Vorresti avere vicino chi ami veramente, l’amico con cui davvero vuoi confidarti e trascorrere il tempo. Uno schermo ti tiene in contatto con gli affetti veri. Ti chiedi il senso di essere lontano, ora in esilio forzato. Sogni di tornare nel tuo paese presto, quando alle volte non ne avevi voglia per la fatica del viaggio. Ho dovuto disdire la nostra vacanza nella mia amata isola d’Elba, ma dentro di me rimane la speranza di andarci con i nostri più cari amici. Il mondo ha chiuso per un po’ ma spero davvero chiuda dopo anche con tutte le cose che non ci piacciono. Non c’è bisogno di fare mille viaggi di lavoro quando ci sono le videoconferenze. Tante volte, quando lavoravo ancora in azienda, mi sono chiesta il perchè di certi viaggi completamente inutili. Tolgono tempo alla famiglia e portano solo inquinamento. Spero anche che si impari a stare insieme in modo diverso, a riscoprire le cose belle che si hanno intorno senza necessariamente cercarle dall’altra parte del mondo. Il mio incubo maggiore era di rimanere bloccata in America. È successo. Da un lato sono felice di essere qui con un bel clima e un piccolo giardino ma troppe cose non mi appartengono. Mi preoccupa non poter tornare se succede qualcosa a Milano, ma seppur mi emozioni ogni volta che sento le persone suonare o cantare dalle finestre italiane per tante cose ho provato grande amarezza. Siamo un popolo caldo ma non sappiamo accettare le regole quando sono per il bene di tutti. Devo dire che comunque molti altri paesi stanno facendo gli stessi errori. Poi nessuno sa veramente qual è la strada migliore e più veloce, forse solo una cura potrebbe aiutare veramente in attesa del vaccino. In questo nuovo ruolo di maestra oltre che mamma penso che siano veramente preziosi questi giorni/mesi con i miei bambini, ma mi piange il cuore per il loro isolamento sociale. Spesso Facetime non basta. Per fortuna specialmente i fratellini piccoli stanno sempre insieme. Ieri Ciuffetto Biondo ha avuto una crisi, si sentiva solo e piangeva tanto. Baby Luca ha detto che lo aiuta lui, che sono amici per sempre. Davvero bello vederli così uniti in questo momento a 9 e 6 anni. Mi preoccupa la loro paura, il loro chiudersi, il non voler uscire nemmeno sotto casa. Sarà difficile tornare alla vita normale. Sono passate solo due settimane di isolamento, ogni tanto penso a come potrà essere tra due mesi o più e mi sento male. Ma l’importante è tenere su il morale e pensare ai lavoratori essenziali che in casa non possono nemmeno starci. In questa situazione dovremmo essere tutti uguali e invece verranno ancora di più fuori le differenze sociali. I governi, come al solito, tendono ad aiutare i privilegiati. Non sarà facile rimettersi in piedi. Le microcomunità forse sono l’unica speranza. Lo dicono in tanti in giro, ma credo davvero che questo virus sia un messaggio per noi essere umani per riequilibrare finalmente il nostro ruolo sulla Terra, per non essere sempre e solo i carnefici ma essere più attenti a quello che ci sta intorno. Temo però che ci si abitui alla solitudine, che ci si chiuda ancora di più nei nostri piccoli mondi. In America regna l’individualismo, si entra difficilmente in profondità nei rapporti umani. Speriamo che i confini non si ispessiscano. Io non ho ancora trovato affetti profondi qui dopo 7 anni, o per lo meno alcuni forse li ho lasciati in altre città, ho imparato però a star bene da sola immersa nella mia famiglia e nelle mie passioni, ma spero di non perdere quell’entusiasmo ad accogliere che ho sempre avuto e che già questi 7 anni americani hanno messo a dura prova. Spero non lo perdano nemmeno gli Italiani perchè in fondo è una cosa che ci contraddistingue e che tutti apprezzano.