Un anno con una ragazza alla pari

Non avevo mai avuto prima una “au pair” (ragazza alla pari), mi spaventava un po’ la convivenza, il lungo anno, l’età e la poca esperienza delle ragazze. Era però la soluzione migliore e più economica in questo posto caro come il fuoco e dove non avevamo alcun aiuto esterno. Una scelta rischiosa ma a posteriori per noi estremamente positiva.

Ricordo la trentina di curricula spulciati sul sito dell’agenzia che recruta au pair (qui in America senza agenzia non te la cavi per via del Visto) e quell’unica intervista via Skype. Lei mi ha convinto subito per il suo sorriso e le sue domande dirette. E poi mi ha conquistato anche la sua mamma, il loro accento sardo, l’evocazione di un mare che amo.E così è iniziata l’avventura, una sconosciuta ventiduenne avrebbe vissuto con noi per un anno. Luca aveva 5 mesi a quell’epoca.M., detta poi Mina da ciuffetto biondo, è arrivata il giorno di Halloween.

Ricordo la curiosità dei bimbi (anche se i miei sono piuttosto diffidenti con le persone nuove), la prima cena insieme, le foto del suo mare che le avevo lasciato appese alle pareti della camera, la sua spaesatezza, la sua bellezza.Non è stato facile fin da subito, per lei e per noi.

Lei al suo primo viaggio intercontinentale più o meno senza ritorno, poco padrona dell’inglese, e con tre maschi scatenati con cui convivere (di cui uno urlante notte e giorno), una macchina lunga come un camion da guidare, la patente californiana da prendere, le nuove regole della strada da capire, il cibo poco coinvolgente da farsi piacere, le strade buie e le autostrade a sei corsie da affrontare.Noi un po’ desiderosi di piacerle, spaventati per una convivenza con tante incognite e pronti ad affidarle il nostro terzo piccolo di soli 5 mesi, seppur con me piuttosto presente.

A un corso che sto facendo di child development ci hanno fatto un gioco. Dovevamo immaginare di dare a un altro compagno il nostro oggetto più prezioso, quello che prenderesti al volo in caso di terremoto (ovviamente esempio calzante in California), e di dirgli come conservarlo, di che cure avesse bisogno. Io ho dato una collana con un cuore che mi hanno regalato i miei genitori, ho detto che poteva prestarlo a una persona affidabile che amava. L’azione era la metafora di quando si consegna il proprio figlio a un estraneo. La maestra o la babysitter si prendono la responsabilità del bene più prezioso, il nostro bambino!Mina ha saputo curare baby Luca con lo stesso amore di me mamma. E non solo, ha anche portato freschezza e risate grazie ai suoi invidiati (da me) ventanni.

Un anno è lungo e lo shock culturale nonchè la mancanza degli amici e del fidanzato si fanno sentire. Hanno coraggio queste giovani ragazze a infilarsi in una famiglia sconosciuta spesso non capendo la lingua del luogo. Ma è un’esperienza bellissima per loro come per noi.

Mi mancheranno soprattutto le conversazioni da donne (e quando mi ricapita più in casa mia?), la sua immensa quantità di scarpe (apo mi ha chiesto: ma come farà Mina a portare in Italia i dollari avanzati? E io gli ho detto mi sa che nn ne avrà molti rimasti e lui ah certo con tutte le scarpe che ha comprato!), i suoi accessori di bellezza, i suoi tentativi di truccarmi, di farmi la piega con la piastra, di farmi il colore, di portarmi a ballare o nelle case paurose di Halloween (su alcune di qste cose ha vinto).

Mi mancherà quel suo essere un po’ lunatica, il suo non sapere mai dove sono finite le cose (come gli altri 4 in famiglia), le sue risate, i suoi battibecchi con ciuffetto biondo, i suoi sguardi innamorati a baby luca.

Mi mancheranno gli scambi giornalieri con lei, il parlare dei bimbi, il suo pane carasau, le complicate organizzazioni giornaliere, il rumore del suo whatsapp.Ciao mia cara amica e un po’ quarta figlia, ti auguro di sentirti di nuovo a casa nella tua sardegna e di riscoprirti diversa ma felice!Non dimenticare la California e soprattutto noi! Grazie di cuore per aver amato tanto i miei bambini! La casa per te è sempre aperta!