Crescere senza fratelli. il sorpasso del figlio unico.

Mamma, papà e il loro bambino: I nuclei con figli unici ormai sono il 46,5% e superano quelli con una prole numerosa. Un fenomeno che in Italia è più marcato rispetto agli altri Paesi europei. È il trionfo della famiglia cortissima

UN BAMBINO per due genitori più quattro nonni. Cioè uno per sei. Solo in una folla di adulti. Aggiungiamo se va bene un paio di zii e due o tre cugini. Fine. Ecco l’Italia del figlio unico, delle “famiglie verticali”, quelle del formato a tre, mamma, papà e un bambino solo, la maggioranza ormai, lo conferma l’Istat, il sorpasso c’è stato, le coppie con un figlio e basta sono il 46,5% contro il 43,0% delle famiglie con due figli, e il 10,5% di quelle (rare) dove i fratelli sono tre o anche di più. È questa l’ultima rivoluzione demografica italiana, annunciata e temuta da tempo ma oggi diventata realtà, la famiglia cortissima con il bambino singolo, prima generazione di ragazzini senza fratelli, costretta a inventarsi reti sociali e parentele del tutto nuove. Una metamorfosi di massa, dove il ritratto classico del figlio unico si polverizza e moltiplica per migliaia di figli unici, che in qualche modo poi diventano, anche, fratelli. Studi recentissimi dimostrano che nel mondo ammalato di sovrappopolazione non è poi così male essere “unici”, anzi. I numeri però sembrano invece i numeri di una sconfitta, perché chi decide di fare famiglia nell’80% dei casi afferma di volere “due o più figli” e invece poi ci si ferma a uno soltanto, e l’avanzata del modello “mono-bambino” sembra inarrestabile. In un intreccio dove, dicono demografi e sociologi, la mancanza di welfare e di servizi “si uniscono a una cultura dove al figlio si deve dare il più

possibile, anche in termini materiali, e dunque farne due può diventare impossibile”. Ma dietro l’esercito dei figli unici, fenomeno crescente anche in altre zone della Ue, dalla Spagna alla Grecia, dalla Germania all’Austria, per Letizia Mencarini, professore associato di Demografia all’università di Torino, ” c’è anche il tempo troppo lungo che passa dalla nascita del primo figlio alla decisione di metterne al mondo un altro, che poi magari non arriva più…”.”È la vera peculiarità delle coppie italiane: aspettare anni per replicare una maternità, iniziata magari già oltre i 30 o i 35. Ma dietro ci sono ragioni forti e sostanziali – chiarisce Mencarini – perché in Italia la legge sulla maternità è seria e protettiva, ma poi la conciliazione non esiste, i numeri delle donne che non riescono più a rientrare nel mondo del lavoro dopo la nascita del primo figlio sono ancora altissimi, e quindi prima di fare il secondo ci si pensa bene”. Non solo però. “Nel nostro paese – continua Mencarini – se da una parte cresce la domanda di asili nido, di scuole materne, è ancora forte la cultura per cui è meglio che almeno fino a tre anni i bimbi restino a casa con la mamma e con la nonna… Basta girare sui blog delle neo-mamme per rendersene conto. Senza pensare all’investimento economico su questi bambini, che devono avere le stanze più accessoriate e i corredi più belli. Vincoli vecchi e nuovi che rendono già enormemente impegnativo mettere al mondo un figlio, figuriamoci due”. “E forse – conclude Letizia Mencarini – se i padri collaborassero un po’ di più in casa magari sarebbe più facile avere qualche figlio in più”.Le statistiche però dicono che più cresce il numero dei figli, più si è a rischio povertà. Tanto che nel milione e mezzo di italiani che vivono secondo l’Istat in condizioni di “grave indigenza”, senza nemmeno il denaro per mangiare a sufficienza, circa il 30% è costituito dalle famiglie numerose, oltre i tre figli, considerati la massima soglia sopportabile per una famiglia media. Il problema però è la distanza tra i figli reali e i figli desiderati. “È per questo – aggiunge Ivo Colozzi, ordinario di Sociologia all’università di Bologna – che la famiglia italiana non è libera. Non è libera cioè di fare i bambini che vorrebbe. E non è soltanto una questione di servizi, che pure aiutano ma non bastano. Bisogna agire sul fisco, renderlo più lieve, altrimenti sarà ben difficile invertire la tendenza. I genitori si pongono il problema di quanto potranno sostenere i figli nel futuro, sanno magari di avere sufficienti risorse per uno soltanto, per farlo studiare, mandarlo all’università, avviarlo nel difficilissimo mondo del lavoro. E per questo si fermano”. Certo dietro il “sorpasso” del figlio unico, c’è anche la maternità che viene rimandata, “ma soprattutto – osserva Colozzi – la mancanza storica di politiche per la famiglia. Basta guardare la Francia, oggi in testa ai Paesi europei come tasso di natalità: lì erano arrivati ai minimi storici di fecondità, come nel nostro Paese, ma con delle politiche giuste hanno ribaltato la situazione. Mi sembra però difficile oggi, con le risorse a zero, invertire in Italia l’inevitabile avanzata dei figli unici”.Ma come si cresce senza fratelli? E che adulti saranno questi bimbi che non dividono la loro stanzetta con nessuno, cuore, centro e anima di genitori, nonni e zii tutti protesi unicamente verso di loro? Viziati, capricciosi, o invece diversi, nuovi, capaci di creare reti di amicizie autonome? Anna Oliverio Ferraris, ordinario di Psicologia dello sviluppo all’università La Sapienza di Roma, non nasconde la sua nostalgia per un’infanzia divisa tra fratelli e sorelle, prima palestra di vita per un bambino, costretto sì a conquistarsi spazi e giochi, ma poi di certo più forte. “Il rischio dei bambini unici è la solitudine da una parte, e l’essere al centro del mondo dall’altra. Su di loro si riversano montagne di attenzioni, di affetto, ma anche di aspettative, di troppi adulti. E nel futuro per questi figli unici non sarà facile diventare autonomi, svincolarsi dalla famiglia, senza contare che saranno loro, da soli, a dover sostenere il peso dei genitori che invecchiano”.Il dato nuovo però è che oggi i figli unici sono sempre di più. “E quindi troveranno il modo di ricreare attraverso gli amici quello che un tempo si faceva con i fratelli. Qui però conta molto il ruolo delle mamme e dei papà – afferma Oliverio Ferraris – quanto si sforzano di farli socializzare, tra la scuola, lo sport, le attività, una casa aperta ai coetanei. Perché una cosa è certa: i bambini vogliono dei compagni di giochi. Non è un caso che spesso a 3 o 4 anni comincino a chiedere ai genitori “quando mi dai un fratellino o una sorellina?””. Con la consapevolezza però che nel mondo mono-bambino non avere fratelli è ormai una realtà comune, a differenza di 15 o 20 anni fa, quando essere “uno” non era, ancora, la norma. “Una cosa che spesso ho consigliato ai genitori di figli unici è stata quella di comportarsi come se di figli ne avessero due o tre: ossia con naturalezza, anche con severità, cercando di non viziare e soffocare questi bambini. Ma nello stesso tempo penso che nonostante tutti i problemi oggettivi si potrebbe rischiare un po’ di più nel fare i figli. I bambini – dice con un po’ di ironia Anna Oliverio Ferraris – non hanno bisogno di così tanti oggetti, spesso le coppie si fermano a uno soltanto perché vogliono dargli il massimo. E se invece il dono più grande fosse un fratello, rinunciando magari a qualcosa?”.