Dalla silicon valley: un parto americano

Giunta al giorno della data presunta del parto mi ritrovavo a scrivere di quanto l’attesa fosse ricca di emozione, paura, impazienza. Gli stessi ormoni della gravidanza che ti rendono la pelle morbida e distesa e i capelli folti e vaporosi ti permettono anche di sentirti rilassata e investita di una missione importante da affrontare con gioia e coraggio.

Quello stesso giorno, poi, mi ritrovavo anche nella solita stanzetta del centro medico alla visita con un ginecologo che non avevo mai visto. L’induzione era prenotata per la sera stessa o la mattina successiva, senza un motivo particolare solo per precauzione e per le continue insistenze della mia ginecologa. Il medico indiano che mi trovo di fronte inizia la solita procedura, misura pancia, controllo battito e visita interna (solo perchè a termine).

“Se fossi mia moglie non ti indurrei stasera, il collo dell’utero non si è dilatato ulteriormente e la testa è ancora bella alta, inutile rischiare un cesareo”, afferma sicuro.

Usciamo più sereni, felici di evitare l’induzione che comunque non mi convinceva. Prossimo controllo dopo ben tre giorni. Tutto comunque poteva succedere.

E infatti.

La mattina successiva alle sei mi alzo dal letto. Ho delle perdite. Inizialmente penso alla visita, può succedere di sanguinare il giorno stesso o quello dopo. Ma poi sento degli strani dolori. Urlo a mio marito: “Si va!”.

Chatto brevemente con la mia amica incaricata di prendersi cura dei bambini e alla seconda contrazione la incito a venire subito. E penso che il piccolo non poteva scegliere orario migliore. L’organizzazione che tanto mi spaventava in questo modo ha funzionato benissimo. Intanto è ufficiale: ho rotto le acque.

I miei splendidi bambini mi stupiscono, si vestono senza storie, accettano di andare via con la mia amica con i loro lunch box che prepariamo al volo, ci salutano sereni mentre io inizio già un po’ a sclerare per le contrazioni intense e la paura di non arrivare in tempo.

Giungiamo all’ospedale in pieno travaglio. La cosa che non mi convince sono i dolori tra una contrazione e l’altra. Il momento non è dei migliori, è l’ora del cambio di turno di medici e infermiere. Mi parcheggiano in sala parto e dopo almeno venti minuti arriva la prima infermiera. E iniziano le solite domande che piacciono tanto agli americani. In più hanno un SW nuovo, mi dice lei, quindi la cosa è ancora più lunga. Vi giuro che anche nel post-partum nella “recovery room” non si è mai staccata da quel computer, incredibile. Comunque dopo quasi un’ora finalmente si decide a mettermi il monitoraggio e a controllare il liquido dopo che le dico che sono completamente immersa nelle mie acque e che magari era meglio cambiare la coperta sotto. Acque tinte di meconio. Mi spavento. Mi ricordavo che voleva dire qualcosa, chiedo a mio marito di leggere su google. Intanto lei mi rassicura dicendo che può capitare, che il bambino sta benissimo. Poi mi visita e mi dice “strano qui non sento la testa, vado a chiamare il dottore”. Il dottore arriva con tutta calma, nel frattempo teniamo sott’occhio il monitoraggio, il meconio può essere indice di sofferenza fetale. E ogni volta che non funziona per lo spostamento degli elettrodi sulla pancia ci prendiamo un colpo.

Arriva il dottore, alto, occhi azzurri, sguardo rassicurante. Porta con sè una macchina portatile che fa le ecografie. Un miraggio in questi nove mesi. Conferma quello che già sospettava solo toccando la pancia. Il bambino ha la testa di lato, non è più incanalato bene a testa in giù. E io penso, magari lo era anche ieri quando il dottore ha sentito la testa molto alta. Potevano farmi un’ecografia però! Mah.

Mi propone allora una manovra che funziona nell’1% dei casi, ma dato che il mio utero è molto morbido ci sono più speranze. è l’unico modo per evitare il cesareo. Accetto sempre più spaventata ma distratta dal dolore delle contrazioni.

Con un dolce movimento per niente doloroso rimette il bambino al suo posto. Un HIGH FIVE non può mancare. Esultiamo tutti. Mi dice di tenere la pancia in posizione. Ma le contrazioni ripartono sempre più forti. Dopo un paio decidono di ricontrollarmi, si aspettano che siamo vicini alle spinte. E invece no. La testa di nuovo non c’è. Il mio piccolo acrobata si era rispostato ancora più di traverso. A quel punto alzano bandiera bianca. Il cesareo è d’obbligo, la sala è in fase di pulizia, devo avere pazienza altri dieci minuti. Il bambino per fortuna sta benissimo. Io no. Sono alla quarta ora di contrazioni, non vedo l’ora dell’anestesia. L’anestesista è un ragazzo giovane e bello, anche lui con atteggiamento pacato e tranquillo. Mi ispira fiducia. Il cesareo mi terrorizza, tra il non sentire le gambe e l’essere sveglia durante l’operazione. Ma non c’è alternativa. Arrivo in sala operatoria dove ci sono almeno dieci persone ad assistere. Il lettino è stretto è duro e mi mettono un po’ di lato (ancora adesso ho fitte tremende alla spalla forse per la posizione). Un telo azzurro viene steso in verticale a due centimetri dalla mia faccia. Mio marito è vestito da dottore ed è a fianco a me. Non smetto mai di guardarlo, mi aiuta a rimanere calma. Dopo poco mi dice che ha trovato un riflesso in cui può vedere tutto e così mi racconta quello che succede. A un certo punto sento ravanare nella mia pancia, mentre mi sembra di avere le convulsioni da quanto tremo, e dopo poco risuona nella sala il pianto arrabbiato del mio piccolo Luca, gli avevano pure fatto un taglietto sulla testa nella fase dell’incisione. Mio marito si alza per vedere e da lì non si risiede più. I medici capiscono che non è uno che sviene e lo lasciano guardare. Ci portano il piccolo e mi viene da piangere a toccare la sua pelle morbida, vorrei abbracciarlo subito come dopo un parto naturale, ma non si può. Lo portano a fare il bagnetto. Intanto mio marito mi descrive ogni passo successivo, scene davvero splatter. In vena mi infilano un antidolorifico così forte che vedo la stanza girare. è per i brividi dicono. Ringrazio il dottore che dopo scopro essere uno dei più bravi in zona. Ho avuto fortuna. Poi mi portano nella recovery room dove attendiamo con ansia l’arrivo di Luca. Finalmente dopo qualche ora posso attaccarlo al seno. Una volta in stanza inizia un po’ un calvario. Aria nella pancia, dolori alla ferita e ai muscoli, fitte alla spalla, per non parlare della laringite che già avevo. Brutta bestia il cesareo. Ho passato 5 giorni in ospedale con infermiere gentilissime anche dopo 16 ore di turno (giuro) ma che arrivavano continuamente con la loro postazione computer mobile a qualsiasi ora per medicine, controllo pressione e febbre per me e per il bambino. Non bastava Luca sempre attaccato al seno. Comunque al terzo e ultimo figlio ho fatto anche l’esperienza del parto cesareo. Mi dispiace non aver potuto provare per un’ultima volta quella bellissima sensazione di quando spingi e vedi uscire il tuo bambino, e ti senti liberata e onnipotente. E a posteriori comunque penso alla fortuna di essre rimasta incinta così per caso alla soglia dei quarant’anni, perchè nonostante il sonno costante e il cambio dei ritmi di vita almeno per i primi tempi poter di nuovo accudire un piccolo e dolce esserino di 3,7 chili è un’emozione bellissima, ed essendo l’ultima me la voglio godere completamente.