Il rispetto come fondamento dell’educazione

Rispetto: sentimento che induce a riconoscere i diritti, il ruolo, la dignità, il decoro di cose o persone e fa astenere dal recare loro offesa. (Dizionario Garzanti 2006). Chi svolge un qualunque ruolo educativo dovrebbe tenere a mente il significato profondo di questo termine, dal quale non si può prescindere nel rapporto con l’altro. Chi educa se ne dimentica spesso. Quando interagiamo con i bambini utilizziamo un tono di voce alto, termini come maleducato, stupido, cretino, li mettiamo con la faccia contro il muro, li strattoniamo, li picchiamo. L’aspetto tragico è che lo facciamo con la consapevolezza che tali metodi siano educativi, pretendendo poi un rispetto che non siamo degni di avere semplicemente perché non siamo i primi a mostrare. I bambini imparano ciò che vedono e vivono. Un bambino ha diritti, ha un ruolo, una dignità. Chi pensa che le maniere forti siano efficaci e funzionali ad uno sviluppo sereno e armonico della persona, probabilmente ignora nel profondo il significato autentico del rapporto educativo e di quali siano i principi basilari dell’interazione con l’altro in senso più generale. Educare non vuol dire sopraffare. Educare vuol dire accogliere, ascoltare, rispettare, scoprirsi proprietari di risorse preziose, rispettare i tempi dell’altro. Educare vuol dire saper rimandare determinazione e coerenza di fronte a rabbia e aggressività, adoperare toni di voce pacati di fronte ad urla e pianti inconsolabili. Educare vuol dire contenere, abbracciare, osservare da lontano, favorire l’autonomia. Ci riempiamo la bocca di parole come rispetto, regole, educazione, dignità e poi a scuola, in famiglia, nella comunità maltrattiamo, non rispettiamo perché arrechiamo offesa e il peggio è che loro non si possono difendere, i bambini devono subire, non c’è via di scampo. Allora parliamo di figli maleducati, indisciplinati, aggressivi, insicuri e con un’autostima che non troviamo nemmeno sotto la suola delle scarpe, etichettando così anche le nostre stesse mancanze e inadeguatezze. Noi grandi vogliamo indietro ciò che non abbiamo saputo o voluto donare, pretendendo di raccogliere frutti senza aver nemmeno seminato. è arrivato il momento di rompere il silenzio, un silenzio complice di sofferenze che non riusciamo o forse non vogliamo vedere. (Dr.ssa Marcella Ciapetti, Pedagogista, Pedagogista clinico)