La banana che vola

Alessandro era un bimbo alto e sembrava un ragazzino nonostante i suoi soli dieci anni. Aveva una sorellina di nome Anna, una piccola biondina di 5 anni sempre in movimento. Quanto parlava! Dal primo momento in cui si svegliava fino a sera raccontava a voce alta innumerevoli storie. Ogni oggetto della realtà diventava il protagonista di un’incredibile avventura. E non erano solo parole, ma anche gesti, suoni, disegni. Alessandro non la sopportava. Lei disturbava sempre, e lui adorava il silenzio intorno e immergersi nei suoi libri o nei suoi documentari. Non gli piaceva la città perché sapeva di fumo e c’erano le sirene delle autoambulanze. Lui aveva bisogno di alberi, ruscelli, animali da scoprire. Il rumore dei grilli la sera lo faceva addormentare sereno. Ora che vivevano in campagna era molto felice. Non capiva proprio perché sua sorella dovesse inventarsi una storia su ogni cosa e giocare correndo per la casa con in mano un pezzo di carta che in un momento era un aereo, in un altro una farfalla o una nuvola. Non si ricordava più di quando da piccolo girava intorno al divano con il suo monopattino credendo di andare e tornare dalla Luna per raccontare tutto quello che aveva visto. Ma un giorno successe una cosa molto strana. Era in cucina e tutto a un tratto si ritrovò una banana spiaccicata sulla sua testa. Si girò e subito urlò: “Anna, dove sei, lo so che sei stata tu a tirarmi una banana in testa! Vieni a farti prendere!”. Anna arrivò e spalancò i suoi grandi occhioni con aria sorpresa e felice: “Te l’avevo detto che le banane volano! Adesso mi crederai finalmente!”. Alessandro rispose: “Non dire sciocchezze, le banane NON volano, me l’hai tirata tu addosso ammettilo!”.
“Ma no, ero di là a vedere un cartone io!!”.
“Smettila, sei sempre la solita. Adesso lo dico alla mamma”.
Anna scoppiò a piangere e quando la mamma arrivò discussero un po’ della cosa ma visto che ognuno rimaneva della propria idea si misero a cenare e cambiarono argomento. Il giorno successivo, mentre Alessandro faceva colazione successe ancora. Un’altra banana piombò sulla sua testa. A quel punto non ci vide più. Corse urlando per tutta la casa invocando il nome di sua sorella mentre sua madre cercava di calmarlo. Anna era quieta e buona in camera sua a giocare con le sue costruzioni. Questa volta non poteva proprio essere stata lei ad avergli tirato una banana in cucina. Ma Alessandro, non sapendo spiegarsi più nulla, continuava ad accusare sua sorella di aver creato non so quale marchingegno per tirare banane sulle teste degli altri. Intanto, però, anche se non era pronto ad ammetterlo, iniziava a insinuarsi il dubbio nella sua testa che qualcosa di strano fosse successo veramente. E se le banane volassero per davvero? Così come per Dio non c’era fondamento scientifico ma molti credevano alla sua esistenza (lui era un bambino molto razionale e questo pensiero aveva già più volte stupito la sua mamma), forse anche questa cosa pazza poteva essere plausibile. Si disse che doveva concentrarsi meglio sull’episodio la prossima volta che sarebbe successo. E puntualmente il giorno dopo, sempre a colazione, un’altra banana lo colpì. Si girò velocemente e finalmente vide il cesto di banane. Rimase a bocca aperta. Le banane non erano adagiate nel cesto come al solito ma svolazzavano sopra. Ma allora era vero! E come poteva succedere questa cosa? La stava immaginando lui? La risposta non la scoprì mai, ma da quel giorno in poi lasciò sua sorella giocare con l’immaginazione e spesso si mise anche a partecipare alle sue storie sperando che una di quelle si avverasse ancora.
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