Il racconto di un parto…non il mio!

Piccolo bimbo senza ancora un nome sei arrivato il 21 maggio del 2023 alle 9 di sera. Ti abbiamo chiamato Terzo per tutta la gravidanza perchè sei il terzo maschietto nella tua famiglia. Ti abbiamo aspettato per ben 41 settimane, immagina la tua mamma quanta voglia aveva di conoscerti! La pancia pesa alla fine della gravidanza ma lei ha cercato in tutti i modi di farti uscire: camminate, uscite, lavoro quasi fino all’ultimo, ma niente, non ne volevi sapere. Quanto è bello in effetti galleggiare in un liquido caldo, sentire i rumori attutiti, essere sempre in contatto con la tua mamma! Ti possiamo capire tutti! Ho avuto l’onore di essere presente al tuo parto e di essere nominata la tua madrina quindi ora ti racconto come è andata.

L’appuntamento per l’induzione era stabilito per le 8:30 di mattina. Come già anticipato, nonostante i tanti falsi allarmi e le previsioni ingannevoli della ginecologa, eri proprio deciso a non uscire dal tuo guscio protettivo e quindi l’ultima soluzione era obbligarti a farlo. Trafelata raggiungo l’ospedale, felice che sia una domenica senza traffico e non sia notte :). La tua mamma e la tua nonna arrivano un po’ in ritardo (a questo ti dovrai abituare 😉 ). È da un mese che dormo male attendendoti, la tua mamma mi ha chiesto di essere presente al parto e io mi sento onorata ma anche spaventata. Come sarà viverlo dall’altra parte? Sono anche curiosa di vedere come funziona a San Diego, avendo partorito il mio terzo figlio, baby luca, all’ospedale di Stanford a Palo Alto, dove tutto non è andato proprio liscio. L’atmosfera è rilassante, la stanza grande, come di solito è qui in America. L’assicurazione privata copre tutte le spese del parto altrimenti il costo sarebbe proibitivo. Il servizio è da albergo a 5 stelle, perfino esagerato secondo me. La nurse di turno, una ragazza molto rilassante e carina, inizia con la solita noiosa parte burocratica, la stessa che ho subito io in pieno travaglio. Immaginate quando uno ti fa cento domande e tu sei alle prese con delle contrazioni dolorosissime (la nurse nn si era nemmeno accorta che le mie acque erano tinte). Subito dopo le presentazioni dell’equipe medica, inizia la somministrazione dell’ossitocina per via endovenosa. L’epidurale arriva poco dopo nonostante la dilatazione non sia ancora 4 cm come richiesto in Italia (almeno ai miei tempi), e la mia amica, ebbra di medicinale, inizia a rilassarsi. Io e la sua mamma continuiamo ad ascoltarla mentre ci ripete “Bella la farmacologia!”. Che ridere…detto da una biologa, farmacologa, ricercatrice, ci sta. La nurse viene spesso nella stanza a controllare e a farle massaggi meravigliosi per rilassare i muscoli e allargare le anche. Per noi Italiani un racconto di fantascienza. E poi una serie di poisizioni di tutti i tipi che nemmeno in palestra ti fanno fare e la mitica pallona di gomma sui cui stimolare la rottura delle acque. Nonostante varie ore così, tu ancora non ti decidi a dare segni di voler uscire. Ecco che allora arriva il momento di rottura della acque, per me uno dei più emozionanti. Non so dire perchè, ma nonostante sappiamo tutti che siamo lì con l’ obiettivo di partorire, la fuoriuscita di quel liquido chiaro e caldo sancisce il vero inizio. Da lì non si torna indietro, non è più un falso allarme, sta davvero succedendo. Sono passate già almeno 7 ore, trascorse a chiacchierare. Metti in una stanza tre donne e mamme, e le ore volano mentre ci si racconta aneddoti dei vari parti, ospedali, gravidanze. Tutte noi abbiamo partorito tre figli, ne abbiamo di cose da raccontarci! Aggiungi a questo che la tua nonna è un neurologo di grido in Italia, con una grande passione per il suo lavoro (meglio dire missione) quindi per me, da sempre appassionata di medicina, è un piacere ascoltarla.

La nonna poi decide di andare a farsi un giro per mangiare qualcosa e fumarsi qualche sigaretta (non dovrei dirtelo…:) ) e così ci raggiunge un’altra amica impaziente di vivere anche lei quest’esperienza ma con la leggera delusione che in camera sono ammesse solo due persone più un fratellino/sorellina (già un miracolo per chi come me ha partorito due volte in Italia) ma convince la nurse a restare dentro anche lei. Da lì in poi accade tutto velocemente, come da manuale. Le contrazioni si fanno finalmente più regolari e intense, la pressione a spingere aumenta. Di nuovo mettono tua mamma in posizioni assurde perchè ora la dilatazione è completa ma la tua testa ancora non è proprio in fondo al canale del parto. Finalmente l’urgenza di spingere aumenta e la Midwife (l’ostetrica) arriva e decreta l’inizio del momento più importante: l’espulsione. Iniziano le spinte, la camera si riempie di personale medico pronto ad accoglierti e ad aiutare la tua mamma in caso di problemi. Noi tre donne lavoriamo in team, siamo una tribe, come ci chiamano loro, l’Italian Tribe, aggiungo io. Siamo sul lato destro, in fila, a sostenere una delle due gambe e ad incoraggiare tua mamma mentre l’ostetrica le dice cosa fare. Mentre spinge, tua mamma è concentrata, determinata, stanca ma tutto sommato rilassata e stringe forte la mano di tua nonna.

Non conosco tanto queste due donne, in fondo anche la mia amicizia con tua mamma è recente, ma già colgo le sfumature del loro rapporto, il loro scontrarsi e cercarsi, le critiche e l’ironia, i giudizi e l’amore incondizionato. Mi ricorda un po’ il rapporto con la mia di mamma. Penso sia una fortuna partorire con la propria madre, è come un cerchio che si chiude, una storia con una bella fine, un atteso ritorno a casa. Si può essere profondamente se stesse. Tutto questo si legge nelle loro due mani che si cercano e si uniscono nel momento più importante. Non ricordo poi il numero di spinte, ma una volta trovata la tecnica giusta dopo credo tre o quattro vediamo la tua testa con dei lisci capelli neri e poi esci tu, un bambino grande, con la pelle rilassata, il corpo robusto, gli occhi che si aprono già verso il mondo. Non ci resta che piangere, sentire l’emozione di un momento cosi’ unico. La nonna mi passa il testimone, dona a me l’onore di tagliare il tuo cordone ombelicale. Un’esperienza unica, indimenticabile.

Torno a casa con la stanchezza di una giornata intensa, la mente piena di pensieri e ricordi. Penso alla forza di noi donne, alla meraviglia della natura che ogni giorno mi stupisce, alla gioia incontenibile di vedere una vita nascere, al privilegio di diventare genitori. Penso a te che sarai sempre nella mia vita cosi’ come gli altri miei figliocci (tutti maschi, ci sarà un perchè), penso a i miei parti tutti cosi’ diversi e intensi, ormai lontani. Il primo risale a 16 anni fa ma è ancora così vivido il ricordo, non ho voluto dimenticare nemmeno il dolore provato per ore infinite. Non c’era la nurse perfetta come in un romanzo, c’erano i muri vecchi della Mangiagalli, la sala travaglio in cui passavano tantissime partorienti doloranti (ci sono stata 30 ore), non c’era la stanza spaziosa con il letto per l’ospite e il menù del ristorante da cui ordinare. Ma quel dolore immenso, l’attesa, le urla con di fronte 10 dottori specializzandi, il pianto di quando è nato il mio Apo e i suoi occhietti che si rivolgevano alla luce di quella finestra su Milano, la mia città di sempre, hanno fatto iniziare il mio percorso di mamma. E poi c’è stato Ciuffetto biondo, nato in un battibaleno, con la corsa in ospedale in corsia di emergenza tipo film, io pronta a rivivermi quel dolore, seppur con una certa paura. Ricordo il post partum nella sala travaglio insieme ad altre tante mamme che dovevano ancora partorire. È stato come rivivere il parto altre dieci volte. Volevo il mio bambino e non me lo portavano, per tutta la notte le partorienti urlavano a fianco a me e io non potevo chiudere occhio. E poi baby Luca, il mio primo nato in America, l’esperienza più cupa, finita in cesareo per incompetenza dei medici e caratterizzata da tanta solitudine. Non avendo nessuno con me rimpiangevo le stanze affollate del San Raffaele e della Mangiagalli di Milano, la compagnia di un’altra neo-mamma accanto con cui scambiare qualche chiacchiera. Avevo conosciuto donne bellissime. Ma baby Luca nella culletta vicino a me faceva passare ogni pensiero triste.

Ieri è stata una giornata speciale che rimarrà sempre nella mia memoria. Quando sono tornata a casa i miei bambini mi hanno fatto trovare uno splendido “main dish” e “dessert”.

Terzo, ti auguro un meraviglioso inizio ed ecco la musica che ho composto per te.

Beginning – music by Pipa